Questa che vi racconto è la storia degli anni più belli della mia gioventù, che vanno dal 1999 al 2003.
Nel 1999 ero un piccolo tourettiano qualunque, senza diagnosi alcuna. Ero io che mi inventavo i tic, sosteneva il mio babbo, era per il divorzio, sosteneva mia mamma. O forse era perché mi avevano ucciso il cane davanti agli occhi, sosteneva un amico. Una bella padella di fattacci propri che si dovevano fare era quello sostenevo io.
Ecco, quasi sicuramente il 1999 è stato un bel calvario per i tic, son cresciuti pian piano fino al 2003. Totalmente invalidanti, con difficoltà a camminare, a parlare, a tenere gli occhi aperti. Ricordo che usai del nastro adesivo per legarmi la penna alla mano per riuscire a scrivere la tesi.
Se si stavo male a scuola mi portavano via in ambulanza, e questo accadeva a giorni alterni, e se mi facevano troppo valium poi mi svegliavo con un blocco intestinale e ritornavo al pronto soccorso (questo meno comune).
Andare in giro era molto complicato: saltavo come un capretto nitrendo come il "cavallo goloso" della pubblicità. I colpi che mi davo a causa degli spasmi e gli anticoagulanti, per i miei problemi di cuore, non erano proprio un bel connubio!
Era la fine del 1999, avevo finito l'anno scolastico a maggio (impossibile continuare). E son stato pure promosso per chi fosse curioso di saperlo. Quindi mi godevo un po' di relax, almeno per un po'.
Fu una serie di fortunati eventi ad incastrare il tutto, presi la palla al balzo e mi traferii in pianta stabile a Treviso da mia zia. Io, i tic, e la mia nuova cucciola con la coda di nome Barbara.
Si sa, Treviso è splendida per girare sulle antiche mura e nel centro storico. (Ovviamente meno, quando arrivano i vigili e ti portano via perché sembri un drogato, con tutti quei movimenti che fai!).
Avevo un sacco di cose da fare lì, soprattutto cucinare. Quante risate tra me e mia zia!
Poi un giorno quasi per caso, passeggiando per il vecchio borgo ho incrociato lo sguardo su una piccola bottega brulicante di gente. Il posto ideale dove tutti noi tourettici sogniamo di andare in pieno sfogo di tic. Era lì, sulla curva di borgo Cavour. Lo Hobbit. Una nicchia a due piani, con una sola porta, zero finestre, un caldo palpabile già all'ingresso. Un posto che avevo visitato alle medie per comprarmi i fantomatici libri games.
Era strano: pieno di caldo, sudore, ormoni, gente che sbraitava seduta ai tavoli con delle strane carte da gioco in mano. I due proprietari, due fratelli, erano estremamente simpatici. Cosi, dato che le "figurine" non mi dispiacevano, iniziai a bazzicare da quelle parti, per quanto caldo e tic ci fossero, nessuno mi chiedeva cosa avessi. Al massimo quando mi sdraiavo a terra e facevo l'anguilla veniva su uno dei due titolari a chiedermi "Tutto bene?" e dopo mezz'ora tutto tornava a posto. Passavano le ore, e a chiusura locale, restavamo sulle scale della chiesa a giocare fino al mattino. Che tempi!
Credo sia stata la prima consapevolezza del non essere diverso. Non dipende dalle persone, dipende da noi stessi. Se ci vediamo diversi lo saremo anche agli occhi degli altri. Così, in quel piccolo mondo nel mondo, le diverse caratteristiche diventavano soprannomi, e io diventai "TicMan" (molto fico sembravo un supereroe della Marvel!). Un ragazzo con la faccia piena di brufoli diventava "Cetriolo". Anni fa incrociai un ragazzo che studiava da dentista, e mi si palesò per salutarmi e parlarmi, e giuro, non ho ricordato chi fosse finché non mi ha detto a bassa voce: "Non ti ricordi? Mi chiamavate Nigeria". Un posto dove conobbi persone che non avrei mai più conosciuto e mai avrei potuto incontrare. Alcuni dei quali sono come dei fratelli per me. I nomi spariscono, di molti ricordo solo il soprannome. Però se ci si incontra ci si riconosce. Solo gli infami non me li ricordo: gli snob, i bulli i prevaricatori, quelli mi è capitato di incrociarli e non ricordarmene. La vita lascia andare chi non ci merita e ci focalizziamo su chi vale. Non è questione di tic, etnia o religione.
A volte veniva fuori che: ci sta un italiano, un albanese e un africano nella stessa stanza, che pare una barzelletta, in realtà era un sabato sera tipico: io, Jan Mario e Antonio a far sagra!
Stavo bene in quel piccolo mondo, e se mi scappava la crisi di tic, per divertirci correvamo dal prete a chiedere l'esorcismo! Ridevamo tanto, prendendo in giro la gente e noi stessi. Facevano scherzi anche a me, facendomi venire tic idioti tra cui quello, durato più di un anno, del calciatore con una gamba sola. Terribile!
Ma sempre meglio questo, che depressi a casa a letto.
Jan lo avevo appena conosciuto, ed ero ovviamente in un periodaccio. Finita scuola, senza lavoro ovviamente, soldi quelli che erano, gli faccio: "Non ho nemmeno la corda per appendermi!".
E niente, in meno di mezzora (alle 11 di sera) mi suona alla porta con un sacchetto. Dentro 5 metri di corda. "Tranquillo, non si lascia mai un amico in difficoltà!". Ecco, ora quella corda è come la coperta di linus, viene sempre con me!
Ecco, queste cose, assieme a mia zia, sono state la mia salvezza.
E' stato il periodo più ticcoso e doloroso della mia vita ma anche il più felice e spensierato.