E' almeno un decennio che mi trovo davanti al bivio tra "capire" e "accettare".
Quando mi venne riconosciuta la Tourette la maggior parte delle persone capirono che cosa avevo, cosa che tra l'altro era evidente, solamente che ora aveva anche un nome. Tuttavia, malgrado averlo capito, era un continuo sentirsi dire "so come ti senti" a ogni Tic Sospinto. Però sì, avevano capito.
E ad un tratto mi sono trovato circondato da un sacco di persone, le quali capivano il mio problema. Ed erano lì pronte ad ogni Tic Sospinto. In un periodo in cui la conoscenza del problema era bassa ma la comprensione ben oltre la media attuale, nessuno si sognava di alienarmi, sfottermi, a parte qualche caso isolato lontano dai luoghi comuni e dalle persone conosciute. Magari non mi invitavano al corso di Yoga, però vedevo veramente la gente capire.
La mia domanda successiva è stata chiedermi cosa essi capivano. Probabilmente, tanto i miei famigliari quanto coloro che mi conoscevano capivano che avevo i tic, che avevo questo problema, che era meglio non farsi versare l'acqua da me nel bicchiere o farmi apparecchiare la tavola. E piano piano tutta questa comprensione stava dando il via a un distacco.
Alle prove antincendio a scuola venivo sempre informato una settimana prima dell'evento, nell'eventualità che volessi rimanere a casa. In gita, non era mai il caso che portassi la borsa con la videocamera della scuola (forse furono saggi!) Ogni giorno che passava aumentava la distanza tra il capire e la normalità.
Perché la Tourette può essere invalidante: puoi avere crisi in cui ti rotoli per terra e non riesci a camminare, tic vocali molesti, scatti in classe che sparano il banco nella mesosfera (circa! :D ) e aggressività contro cose o persone. Insomma, diciamolo pure, chi più ne ha più ne metta.
So bene che questa sindrome è molto soggettiva, ognuno reagisce a modo suo. La mia reazione fu l'assuefazione dai farmaci. Ed ero circondato da gente che capiva, ma che cosa? Che avevo un problema. Certo non mi mancavano un piede e una mano, però il problema c'era.
A 16 anni, complici gravi incomprensioni famigliari, andai a vivere da mia zia. Fu lì che sbocciò la crisi acuta di questa sindrome, e credo sia grazie a mia zia che oggi ho dato una motivazione alla differenza tra capire e accettare. Ricordo che appena arrivavano le crisi più forti mio padre si agitava subito, e urlando mi "minacciava" di chiamare l'ambulanza. Purtroppo lui non ha mai capito, o accettato la SdT. Ancora oggi dice che gli spasmi si fanno solo per farsi notare. E' una gran brava persona, ma non ci si può far niente.
In quel periodo avevo un eccentrico tic all'avambraccio che me lo faceva sbattere di continuo contro il torace e il fianco. Risultato? Ematomi neri su buona parte del corpo. E si che vivevo con mia zia, e mia zia sapeva della "cosa dei tic", erano ben visibili. Per lei era normale che li avessi. Ovvio, le faceva dispiacere che mi facessero stare male, però erano lì. Erano parte della vita, in quel preciso lasso di tempo, nel tempo. Le sue uniche preoccupazioni erano: "dime se te serve l'ambulanza", "dime se te serve el ****".
Ed io, in tutto il tempo passato con lei, non ho mai sentito nemmeno per un momento di essere meno di quello che ero una volta. Ricordo quando mi chiedeva di apparecchiare, diceva: "bloccati un attimo e apparecchia!". Tutti e due sapevamo che c'era il reboot. E quindi era giusto che ci fosse. Anche se molti piatti evaporavano sul muro! :D
Quando avevo crisi di rabbia mi chiudevo in camera, e lei semplicemente mi ignorava, tuttavia sapevo che se avevo bisogno di lei, lei era lì pronta ad aiutarmi. Tante nottate quando avevo le crisi più forti e mi dimenavo per terra lei mi circondava coi cuscini, poi si metteva a letto con il suo libro e il telefono di fianco e diceva: "dime se te serve che chiamo" e la cosa finiva lì.
Ho notato, purtroppo su tante persone, che la più grande paura è la paura di non saper relazionarsi e gestire le persone come me. Alcune sì, hanno un gran bisogno, come ne avevo io, di essere aiutate. Tuttavia non si può aiutare qualcuno per aiutare se stessi. Per darmi la tranquillità ti aiuto. La vita per chi ha la SdT continua, anche se per alcuni è più facile di altri.
Ma se quando succede la minima cosa, quando ci si incontra per strada, la domanda è sempre la stessa, allora vuol dire che qualcuno ha ben capito, ma assai poco accettato. E' come la domanda canonica che si riceve per i primi 20 anni della propria vita: "come è andata oggi a scuola?". Ma siate onesti, non ci sono altri argomenti per iniziare una conversazione? Forse ci si illude di accettare. Forse è più facile a parole che per davvero.
Credo che a volte sia pure esilarante convivere con certi tic. Forse solo perché la vita è bella e va vissuta con un po' di autoironia, a Dio piacendo.
Una persona coi tic, senza un piede, con gli occhiali, resta sempre quella persona, e per me non va solo capita, ma va accettata così com'è.
L'autore
Marco è un tourettiano che affronta la vita con estrema consapevolezza ed un pizzico di humor, se avete voglia di incontrarlo vi toccherà arrivare fin sull'Isola di Man, al centro del mar d'Irlanda. Ed allora lo troverete a creare manicaretti nel ristorante dove fa lo chef, oppure a casa con la sua dolce Marta e con la sua colonia di amati gatti.